domenica 22 febbraio 2009

Manifestazione nazionale Fiom e Funzione pubblica Cgil Piazza S. Giovanni, Roma, 13 febbraio 2009 Intervento di Gianni Rinaldini, segretario generale

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Manifestazione nazionale Fiom e Funzione pubblica Cgil
Piazza S. Giovanni, Roma, 13 febbraio 2009
Intervento di Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom
Compagne e compagni, ce l’abbiamo fatta, voi ce l’avete fatta, con la vostra partecipazione, con lo sciopero
in tutto il paese, con il sacrificio che ha comportato questo sciopero in una situazione di crisi.
Voi avete risposto, in questo modo, a tutti i tentativi del governo, della Confindustria e di tutti coloro che in
questi giorni, in queste settimane, in questi mesi, hanno utilizzato e utilizzano la crisi per dividere le
lavoratrici e i lavoratori, quelli privati dai pubblici, quelli a tempo indeterminato dai precari, le lavoratrici e i
lavoratori nativi dai migranti: non ce l’hanno fatta, lo dimostra questa manifestazione.
Noi manifestiamo non perché neghiamo la crisi, sappiamo benissimo che siamo di fronte a una crisi
drammatica, e lo sanno prima di tutto quelli che vengono colpiti dagli effetti della crisi. Quello che noi
diciamo è un’altra cosa, è che noi siamo in una situazione drammatica dal punto di vista sociale; nei prossimi
mesi questa situazione diventerà ancora più pesante.
Questo determina una vera e propria emergenza nazionale, una vera e propria emergenza sociale, perché
centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori che percepiscono 700 euro al mese, per un periodo così lungo,
semplicemente non arrivano alla fine del mese. E nello stesso tempo vengono licenziati tutti i precari e poi,
dalla sera alla mattina, ci comunicano la chiusura di questo o quell’altro stabilimento. Questa è una
situazione che inevitabilmente aumenterà tutte le tensioni e aumenterà anche i livelli di esasperazione.
E allora noi diciamo che per uscire da questa crisi bisogna partire da un punto fondamentale che è quello di
un intervento che costruisca una vera e propria rete di protezione sociale. È già stato detto, non voglio
ripeterlo, riguardo gli ammortizzatori sociali, la loro estensione a tutti i lavoratori, la continuità del rapporto
di lavoro, tutto ciò che permette di costruire le condizioni materiali per ragionare sull’uscita dalla crisi.
Ci dicono: «ma questo non è possibile, perché costa». E allora noi chiediamo: «ma come è possibile che
quando bisogna salvare le banche le risorse si trovano, quando bisogna salvare il sistema finanziario si
trovano, quando c’è da assumersi i debiti dell’Alitalia si trovano, e quando c’è da intervenire sulla condizione
dei lavoratori e delle lavoratrici c’è il debito pubblico, c’è lo 0,2/0,3% che modifica le percentuali?»
In realtà le risorse ci sono, solo che vengono utilizzate per alcuni ma non per i lavoratori.
Le nostre proposte sono attraversate da due concetti, fondamentali, ed è su questo che voglio ragionare con
voi. Il primo concetto è un filo che lega tutte le nostre richieste ed è quello della cultura e della pratica della
solidarietà, che oggi sono l’opposto della cultura dell’odio e dell’intolleranza, che è propria di questo governo
e della Confindustria, quella cultura dell’odio e dell’intolleranza che vuole dividere i lavoratori persino sulla
salute, che dice a quel lavoratore straniero ammalato: «o tu torni a casa tua, o resti clandestino, o puoi
anche morire, perché non hai diritto alla salute», ma il diritto alla salute è un diritto umano internazionale ed
è una vergogna che siano attuate misure di questo genere!
La cultura dell’odio è quella che è stata utilizzata a Pomigliano, all’Innse di Milano; è la cultura dell’odio
quella che dà indicazioni di intervenire con le forze di polizia per caricare i lavoratori che sono in lotta per la
difesa del proprio posto di lavoro oppure per far portare via i macchinari dalla fabbrica perché il padrone
vuol fare una speculazione edilizia.
Questa è la cultura dell’odio e dell’intolleranza. È quella cultura che porta a voler modificare il Testo unico
sulla sicurezza di fronte a una strage quotidiana. Non sono omicidi bianchi, chiamiamoli con il loro nome,
quella che avviene nel nostro paese è una strage quotidiana di infortuni sul lavoro!
E sapete perché vogliono cambiare il Testo unico? Perché dicono che costa troppo per le imprese, ci sono
troppe penali per le imprese, perché la loro idea dell’uomo, la loro idea del lavoratore è considerarlo alla
stregua di una merce, che in quanto tale viene utilizzata nel posto di lavoro.
Questo è il primo concetto che affermiamo: la cultura e la pratica della solidarietà.
Il secondo concetto è quello della democrazia. Lo strumento che insieme al conflitto sociale è a disposizione
dei lavoratori e delle lavoratrici.
Hanno fatto un accordo separato, un brutto accordo che programma un’ulteriore riduzione del potere
d’acquisto e nega l’autonomia del sindacato. Noi manifestiamo con spirito unitario e diciamo, anche rispetto
alle dichiarazioni strampalate di questa mattina che Bonanni e altri hanno fatto: «noi siamo disponibili a
firmare anche un accordo che consideriamo un brutto accordo, se voi siete disponibili ad andare nelle
assemblee a discutere con i lavoratori e le levoratrici e sottoporre quell’accordo al voto di tutti i lavoratori e
di tutte le lavoratrici».
Se le lavoratrici e i lavoratori ci dicono che quell’accordo va bene, anche se noi non lo condividiamo, a quel
punto lo firmiamo perché noi abbiamo un unico vincolo e siamo legittimati in un solo modo: la legittimazione
deriva dal voto democratico di chi vogliamo rappresentare.
Pensateci, quando un sindacalista, ognuno di noi, è al tavolo di trattativa, si pone un problema: io sono qui
seduto a questo tavolo in base a quale legittimazione? Non ci sono molte risposte, ci sono solo due
possibilità: o la legittimazione che io ho a quel tavolo me la danno le lavoratrici e i lavoratori che voglio
rappresentare o, attenzione, se la legittimazione non è questa, è quella che ti dà la controparte, che usa la
sua controparte come elemento, questo sì, di divisione per le lavoratrici e i lavoratori.
E allora, sia chiaro, noi chiediamo una ricomposizione unitaria sul terreno della democrazia. Se non è così, se
questo non è possibile, noi non siamo disponibili ad accettare una usurpazione autoritaria nei confronti dei
lavoratori e delle lavoratrici. Quello che lì c’è scritto, i vincoli che sono scritti in quell’accordo, non ci
riguardano e non li rispetteremo!
E la scelta che ha fatto la Cgil di chiedere il referendum è una scelta di grande significato, che è anche uno
spartiacque, perché è evidente che d’ora in poi l’insieme della Cgil, nelle sue diverse categorie, non può che
assumere la democrazia e il voto dei lavoratori come elemento decisivo nei rapporti unitari con le altre
organizzazioni.
Infine mi chiedo, c’è un rapporto tra quello che sta succedendo, quello che verrà discusso nelle prossime
settimane, nei prossimi mesi, quello che riguarda le istituzioni nel nostro paese? Ho un sospetto, spero che
rimanga tale: per poter attuare quell’accordo separato hanno bisogno di intervenire sul diritto di sciopero,
limitarlo, togliere la titolarità del diritto di sciopero ai lavoratori per ricondurla a capo delle organizzazioni
sindacali. Perché temo che ci sia un progetto, un’operazione autoritaria a tutto campo di assetto di questo
paese, e leggo anche in questo modo le dichiarazioni fatte dal presidente del Consiglio sulla Costituzione;
non sono dichiarazioni nuove, le ha già fatte alcuni anni fa, e mi ricordo che allora disse che bisognava
partire dall’articolo 1 della Costituzione, laddove si dice che questa è una «Repubblica fondata sul lavoro».
Ora, noi pensiamo esattamente l’opposto, noi pensiamo che la Costituzione è stata scritta in quella che è
stata la più gloriosa fase storica di questo popolo, quella della Resistenza e della lotta antifascista.
Ci sono altre pagine, altre fasi storiche di cui ci dobbiamo vergognare. Ci dobbiamo vergognare del fascismo
e di essere stati corresponsabili di una Seconda guerra mondiale con 50 milioni di morti. Quelle sì che sono
fasi vergognose della nostra storia, della storia di un popolo che ha riacquisito una dignità per poter parlare
con gli altri popoli grazie a quella lotta antifascista che ha permesso di costruire una Costituzione
democratica. E allora il problema vero non è quello di cambiare la Costituzione, ma di attuarla, a partire dal
diritto al lavoro e dal diritto a uno Stato sociale.
Oggi, questa piazza, questa manifestazione, i sacrifici che sono stati fatti – non è semplice fare sciopero
dove ci sono due settimane di cassa integrazione, ma è proprio questo che dà maggiore valore alla nostra
iniziativa – vogliono dire questo: non pensino, non s’illudano che utilizzando la crisi possono pensare di
sconfiggere questo popolo, noi lo abbiamo dimostrato oggi, lo faremo nelle prossime settimane e nei
prossimi mesi. Svilupperemo tutte le lotte necessarie perché, badate, di fronte all’esasperazione, al disagio
sociale, vi è la necessità che ci sia un’organizzazione – e oggi questa organizzazione è la Cgil – che sia
un’organizzazione di massa, di tenuta democratica all’interno di questo paese, rispetto a chi cerca di
utilizzare il disagio sociale per aprire altre strade che sono quelle della divisione e della contrapposizione.
Grazie a voi per la partecipazione, grazie a voi per avere organizzato questo sciopero. Viva la Funzione
pubblica, viva la Fiom, viva la Cgil!

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